Sotto lo stesso manto

Sotto lo stesso manto

La festa del Terzo Settore a Matera 2019

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Mariano Bauduin firma per la Silent Academy un moderno “Poema sinfonico”, una composizione che accoglie diversi generi musicali portandoli ad armonia. 23 minuti, un unico brano, quasi un centone armonico, affidato all’Orchestra di fiati di Grottole e percussioni etniche, oltre che una compagine di coro a voce naturale e due solisti. Il principio guida della composizione è la ricerca di armonia tra diversi brani, che vanno da una chiara forma di tammurriata per la Madonna, a una riorchestrazione della “Missa Luba”, concepita in una forma più afro-americana che tribale.

Due orchestrazioni strumentali di brani popolari su forme di Bossa Nova, un madrigale a 3 voci sui testi di Salomone “Nigra sum sed formosa”, un mottetto musicato dai compositori cinquecenteschi e seicenteschi come celebrazione della “Madre nera”. Conclude il tutto una forma di ninna nanna, su contaminazioni settecentesche colte.

“E’ la festa del terzo settore, per raccontare storie di donne e di uomini che ce l’hanno fatta, nonostante le avversità. Nell’epoca della disintermediazione, oggi, da Matera un’icona dimenticata ci ricorda l’urgenza di persone e realtà che costruiscano percorsi di cittadinanza per gli ultimi”

Michele Plati, presidente della cooperativa sociale Il Sicomoro

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Dopo la prima del 19 marzo a Matera, la performance è stata replicata il 24 maggio al Museo archeologico Nazionale di Palazzo Loffredo di Potenza e a Napoli il 26 luglio al Centro Asterix di San Giovanni a Teduccio per il Festival delle perierie.

L’azione scenica è stata al centro della festa del terzo settore voluta dalla cooperativa sociale il Sicomoro, insieme alla Fondazione Matera – Basilicata 2019, nell’ambito del programma della Silent Academy.

Hanno partecipato i rappresentanti delle più importanti realtà del non profit in Italia, tra cui Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore, e Giuseppe Bruno, Confcooperative Basilicata. I maestri migranti, lo stilista Eloi Sessou e alcune modelle hanno presentato anche al Premio Nobel per la Pace Betty Williams gli abiti realizzati nei laboratori che saranno indossati durante la performance.

Tante le storie “vere” raccontate nel corso della rappresentazione, immortalate in una simbolica tela: da Absa, diciottenne senegalese che vuole diventare una stilista e frequenta l’istituto di moda materano a Jenny, giovane donna nigeriana vittima di tratta, ospite del progetto di accoglienza del Sicomoro. E, ancora, Maria Domenica, non vedente che ha conosciuto l’amore della sua vita nella Residenza per anziani della cooperativa…

Sullo sfondo la grande tela seicentesca a cui è ispirato l’evento: la Madonna del Gonfalone, una madonna del manto speciale, icona materana dell’omonima confraternita. Sotto il manto in questo dipinto trovano spazio da un lato i confratelli, dall’altro i “raccomandati”: i poveri, gli ultimi, che la confraternita aiuta e “raccomanda” alla Madre.

Le confraternite, antesignane dell’impegno civico che oggi descrive il terzo settore, attraverso quest’icona ci ricordano che i poveri non si salvano da soli. L’icona diventa così simbolo del terzo settore impegnato a costruire percorsi per l’autonomia delle persone che altrimenti resterebbero ai margini della società, rendendo così effettiva la loro cittadinanza sotto quel mantello simbolo della Città di Matera.

Il restauro della grande tela

La festa del 20 marzo ha dato ufficialmente il via al restauro della tela della Madonna del manto materana, finanziato dalla cooperativa sociale il Sicomoro. Un simbolo potente del lavoro del Terzo Settore nella comunità lucana che la cooperativa vuole restituire alla città.

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Kingsley, la cartapesta è senza stress

Kingsley, la cartapesta è senza stress

Tratto da Il carro e il leone, di Andrea Semplici, 2019

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Si fugge dal proprio paese perché si è in pericolo. Perché le minacce alla tua famiglia sono la storia di ogni giorno. Ti hanno gettato addosso acido. Hai paura. Cosa è accaduto, Kingsley? ‘La politica…’. Non chiedo altro. Benin City è una città violenta. Crocevia del traffico di donne, mercato delle prostitute. Oltre l’80% delle donne nigeriane che vediamo nelle strade italiane proviene da lì. È un inferno la vita quotidiana in questa città. Meglio andarsene.

Kingsley ha 38 anni. Non è un ragazzino. Aveva poco meno di 35 anni quando, senza avvertire nessuno, nemmeno suo padre (‘mi avrebbe fermato’), se ne è andato dalla sua casa e dalla sua città. Con due figli piccoli. Ha preso un autobus, ha varcato il confine di tre stati (il Benin, il Togo, il Ghana), è andato verso occidente per salire a Nord. Addio all’oceano, adesso Kingsley e i suoi bambini devono attraversare le savane del Burkina Faso e del Niger. Poi sarà il Sahara.

“Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli”

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Kingsley era un traditional doctor a Benin City. Un medico tradizionale. Curava con le erbe. Aveva imparato da suo nonno. ‘Mi mandava a raccoglierle nei campi, mi spiegava, mi permetteva di assistere alle sue visite’. Riesco a immaginarlo: un bambino che vede le donne e gli uomini che cercano un aiuto alle loro malattie. Un mestiere importante nella città africana. Un ruolo sociale. ‘Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli’. Noi bianchi e occidentali non possiamo capire. Il mestiere non è riuscito a convincerlo a rimanere. Troppo forti i pericoli che correva se rimaneva a casa. Solo dalla Libia ha telefonato al padre.

Ha un’aria da rapper, Kingsley. Cappellino da baseball, catenella in tasca per le chiavi, bracciali al polso, capelli con la gommina, una barba leggera e ben curata. Deve ascoltare molta musica: piccoli amplificatori sono agli angoli della casa a Spine Bianche, in cui è accolto con un progetto del Comune e della Cooperativa Il Sicomoro. Racconto a Kingsley la storia di questo quartiere di Matera, uno dei ‘quartiere dell’esodo’. Lui abita a un piano terra, sulla piazza. Via Petrasa, dice. No, è via Petrarca.

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Osservo le sue dita mentre incollano strisce di cartapesta. È rapido, attento, veloce. Instancabile. Sono strani i curriculum europei in cui cercano di rinchiudere la tua vita. È un curriculum di poche righe che Kingsley mostra con un orgoglio africano: in Italia ha fatto tre mestieri, il lavapiatti, il bracciante e, ora, l’apprendista cartapestaio. Ha imparato in mezza mattinata. ‘È come se la cartapesta non avesse segreti per lui’, mi dice Raffaele. Non esiste una traduzione inglese per cartapesta. Kingsley la chiama art work, lavoro artistico.

‘Noi non abbiamo la cartapesta – mi dice all’improvviso – Ma siamo bravi a modellare le maschere. Carving – e fa il gesto del martello e dello scalpello – noi lavoriamo il legno. Qui si preferisce la carta. È la stessa cosa’.

Cosa è accaduto a Kingsley alla Fabbrica del Carro? È il più puntuale al mattino, lavora a testa bassa, ha accelerato i tempi della creazione degli stampi. ‘Mi piace la cartapesta perché è senza stress’. Mi faccio ripetere le sue parole: ‘No stress in the cartapesta’. Si porta il dito indice alla tempia. E sorride. Mette allegria il viso squadrato di Kingsley.
‘È come se la cartapesta lo abbia cambiato. È un altro. Come se averla fra le mani gli abbia indicato una strada’, mi dice una ragazza che, da tempo, segue i percorsi di Kingsley.

Kingsley ha già preso parte alla Festa della Bruna. Cosa penserà un africano della nostra follia? ‘Mesi di lavoro e di fatica vengono distrutti in un minuto. I ragazzi vogliono portarsi un frammento del Sacro a casa. Lo vogliono appendere a un muro, metterlo sul tavolo. Vogliono il Sacro vicino a loro’. Posso confessare: Kingsley non ha usato la parola ‘sacro’, ha detto: ‘Dio’. E anche io, per un momento, credo di aver capito cosa vi è, oltre le parole, dietro a quanto avviene nella piazza di Matera nella notte del 2 di luglio. Kingsley, da africano, mi ha messo sulla strada dell’inspiegabile.

Le foto in questo articolo sono di Antonio Sansone, tratte – come l’articolo di Andrea Semplici – dal libro “il carro e il leone”. La cronaca, i volti, le storie della rinascita di una grande scultura mobile, il carro Trionfale in cartapesta costruito da una piccola comunità di artigiani che quest’anno si è arricchita della presenza di ragazzi stranieri rifugiati e artisti non locali.

Per acquistare un copia del libro contattaci. Il ricavato della vendita del libro sarà destinato al sostegno delle rette degli anziani in situazione di solitudine e povertà ospiti della Residenza Brancaccio.

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Il carro e il leone

Il carro e il leone

Dove nasce il Carro della Bruna: le storie e i volti del luogo più misterioso di Matera

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La storia del Carro della Festa della Bruna è quasi sempre una storia al contrario: parte dal suo finale, come se il carro trionfale fosse soltanto la sua distruzione.

“Il Carro e il leone” racconta invece la storia della costruzione del carro, le alchimie i segreti e le tradizioni di famiglia che si consumano in un luogo inaccessibile per mesi e – soprattutto – è la storia della coloratissima comunità che quest’anno ha dato vita e mani a questo simbolo potentissimo della città di Matera.

È la prima volta nella storia centenaria della festa che un libro prova ad aprire idealmente le porte della fabbrica in cui nasce la festa.

Centosessantotto giorni, dal 7 gennaio al 23 di giugno, raccontati in un diario. È la cronaca quotidiana della rinascita di una grande scultura mobile, il carro Trionfale in cartapesta costruito da una piccola comunità di artigiani che quest’anno si è arricchita della presenza di ragazzi stranieri rifugiati e artisti non locali.

“Voglio che con la Rendita del Capitale della Masseria si tenga in città una Festività di nostra signora sotto il titulo della Bruna nostra Avvocata, e Protettrice”

Mons. Brancaccio, vescovo di Matera

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Il libro nasce per volontà della cooperativa sociale il Sicomoro, legata a doppio filo quest’anno alla festa della Bruna. La cooperativa è infatti ente gestore del progetto di accoglienza per rifugiati del Comune di Matera, che ha permesso a Kingsley, Ismaila, Savane e altri di partecipare attivamente alla costruzione del carro. C’è però un altro legame tra il Sicomoro e il 2 luglio legato ad un nome che i materani sono abituati ad associare unicamente alla residenza per anziani gestita dalla cooperativa: è il nome di Mons. Brancaccio.

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Nel testamento del Brancaccio si legge infatti “Voglio che con la Rendita del Capitale della Masseria si tenga in città una Festività di nostra signora sotto il titulo della Bruna nostra Avvocata, e Protettrice, che si Celebra a due di luglio e sia solennizzata da musici et Istrumenti scelti da loro spendendo in ogn’anno cinquanta ducati. E così continuare sempre et in infinitum”. Il vescovo dei poveri, istitutore del monte frumentario da cui prese vita la casa di riposo, nel 700 fu il primo a dare alla festa della Bruna la forma e le regole con cui tutti noi ancora oggi la celebriamo. Un legame forte quello tra la festa e la Residenza Mons. Brancaccio che il Sicomoro intende onorare destinando il ricavato della vendita del libro al sostegno delle rette degli anziani in situazione di solitudine e povertà ospiti della Residenza Brancaccio.

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Betty Williams incontra la Silent Academy

Betty Williams incontra la Silent Academy

I protagonisti della Silent Academy con il premio Nobel per la Pace

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Il premio Nobel per la Pace Betty Williams incontra i maestri migranti della Silent Academy e alcune modelle che stasera, alle 19 in piazza Duomo, daranno vita ad una performance firmata dal regista Mariano Bauduin. Protagonisti gli abiti firmati dallo stilista Eloi Sessou che si raccoglieranno sotto un grandissimo mantello in emergency blankets, le coperte dorate usate durante gli sbarchi, simbolo delle tragedie del Mediterraneo.

Betty Williams ha ascoltato commossa le storie di Absa, arrivata in Italia a 15 anni, che sogna di diventare una stilista e frequenta l’istituto di moda materano, e di Jennifer, anche lei arrivata in Italia ancora minorenne ora ospite del progetto SPRAR del Comune di Matera, gestito dalla cooperativa sociale il Sicomoro, che produce con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 la Silent Academy.

“Questi vestiti sono favolosi, incredibili, perché raccontano una storia di integrazione. In Basilicata i rifugiati accolti vengono considerati dei valori, delle persone che possono portare un valore al nostro territorio. Questo progetto ne è l’esempio”

Betty Williams Presidente della Fondazione Città della Pace e Premio Nobel per la Pace

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Betty Williams è impegnata da anni in Basilicata a favore dei rifugiati con la Fondazione Città della Pace e dei Bambini, partner del progetto Silent Academy. La fondazione nasce nel 2003 durante la mobilitazione popolare in risposta al progetto di localizzare un deposito di materiale radioattivo in Basilicata a Scanzano Ionico, Betty Williams intervenne a sostegno di un utilizzo alternativo di questo territorio. Così da allora si occupa di realizzare un percorso di accoglienza, tutela e integrazione per le persone che hanno subito persecuzioni o temono di subirne a causa della loro etnia, religione, nazionalità o appartenenza a un certo gruppo sociale.

Il nobel per la pace

Ha ricevuto – assieme a Mairead Corrigan – il Premio Nobel per la Pace nel 1976 per il suo ruolo di cofondatrice della Community of Peace People, un’organizzazione che si batteva per una soluzione pacifica della questione dell’Irlanda del Nord. Attualmente è a capo della Global Children’s Foundation ed è presidente del World Centers of Compassion for Children International.

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Il sogno di Qamar

Il sogno di Qamar

Oggi gestisce uno dei fast food più popolari a Matera

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Quella di Qamar è una storia di speranza, di sacrificio, di amore, di tenacia; 37 anni, rifugiato politico pakistano.

È l’estate del 2013. Qamar vive in Pakistan, è sposato con Fatima e ha 3 bambine. Lavora come autista di ambulanza per un’organizzazione non governativa di Karachi, fulcro del settore finanziario ed industriale del Paese. Conduce una vita agiata e tranquilla, finché non diventa un bersaglio dei talebani:con grande disperazione ma mosso dal timore di perdere la vitae di mettere in pericolo la sua famiglia, si crea una falsa identità, lascia la sua terra ed il suo lavoro, prende un aereo ed arriva prima in Libia, poi sulle coste italiane.

È il gennaio del 2014 quando Qamar viene accolto nel campo profughi di Caltanissetta, dove la Commissione territoriale gli riconosce la protezione internazionale

“Sono riconoscente al Governo italiano, mi ha protetto e continua a farlo, non solo, ha consentito anche alla mia famiglia di trovare la pace”

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L’ACCOGLIENZA NELLO SPRAR E LA VITA GROTTOLESE

Qamar ritrova il sorriso e la voglia di guardare avanti nel 2015, a Caltanissetta, quando ottiene il ricongiungimento familiare: sua moglie, Aansa, Laiba e Hadia lo raggiungono in Italia, ed insieme vengono accolti nel progetto SPRAR di Grottole, piccolo borgo della collina materana, abitato da 1500 anime, che ospita la nuova famiglia con grande gioia, facendola sentire a casa ed offrendole generosità e calore.

Qamar consegue licenze, tra cui la patente di guida italiana, segue corsi di formazione, frequenta con interesse il corso di lingua italiana e, da subito, trova un impiego in una bottega materana che lavora il tufo.

Si reca a Matera, a Bari, in Trentino, dove svolge una piccola esperienza lavorativa come cameriere in un resort tirolese, conosce tanta gente, si interfaccia con diversi enti locali e getta le basi per la realizzazione della sua aspirazione: aprire un’attività commerciale in Italia.

“A me piace stare con gli italiani, sono persone gentili, hanno fatto molto per me e la mia famiglia, se solo potessi ricambiare…..”

Anche le sue piccole donne si integrano, a piccoli passi, nella comunità grottolese: le bambine ridono, giocano spensierate per le strade del paese, riscoprendo, persino il piacere di andare a scuola senza temere il suono assordante delle sirene; Fatima partecipa ai laboratori interculturali del posto, conoscendo altre donne, sperimentando una cultura alla quale vorrebbe avvicinarsi e, trasmettendo, allo stesso tempo, amore per la sua lontana terra.

Quamar

LA SVOLTA

Nel luglio 2017 la Famiglia lascia il progetto Sprar e, con l’aiuto della Cooperativa Il Sicomoro, riesce a trovare un modesto appartamento nel centro storico Di Grottole; potrebbero abbandonare il sud Italia migrando verso nord in cerca di migliori opportunità di vita ma decidono di restare qui perché ormai sentono Grottole una seconda casa ed i grottolesi una seconda famiglia. Qamar è comunque costretto a viaggiare tutti i giorni, per cercare lavoro e, con tanti sacrifici, ed un piccolo supporto economico di suo

fratello, riesce a comprare una piccola automobile e accetta la proposta che gli cambierà la vita: diventare gestore di un fast food, il PATATA SHOP di Matera, locale centralissimo della fiorente Capitale della Cultura frequentato da giovani e meno giovani; l’incredulità di tutti e la diffidenza della sua stessa famiglia non fermano il neo imprenditore nel suo preciso intento che lui accoglie come un regalo di Allah. A circa sei mesi dall’apertura del suo “ristorante” e ad un anno dalla fine dell’accoglienza nello SPRAR di Grottole, Qamar è uno straniero completamente integrato e regolarmente affermato nel mondo del lavoro italiano. Al momento è in cerca di tirocinanti che possano aiutarlo nella conduzione della sua attività.

“Mi sento un uomo fortunato ma se Dio volesse graziarmi, gli chiederei un figlio maschio!”

Aspettiamo la risposta di Fatima.

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Tresor, artigiano della Silent Academy

Tresor, artigiano della Silent Academy

In Congo studiava architettura, a Matera lavorerà all'opera di Mimmo Paladino per Matera 2019

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Tresor è uno dei maestri migranti della Silent Academy, il progetto di Matera 2019 che il Sicomoro sta portando avanti con Fondazione Matera – Basilicata 2019. Sarà lui infatti a guidare i laboratori per la realizzazione della grande opera che l’artista Mimmo Paladino donerà alla Città.

Tresor e i suoi bambini sono stati ospiti del progetto SPRAR del Comune di Matera e poi beneficiario del progetto Fami Fra Noi, grazie al quale ha potuto fare un tirocinio presso un’impresa edile che l’ha poi assunto.

La storia di Tresor è una storia di rinascita e coraggio. Giovane studente di architettura è costretto a lasciare il Congo con sua moglie e i suoi tre figli. Dopo il carcere libico, che non ha risparmiato neanche i suoi figli, ha comprato la libertà della sua famiglia facendo il piastrellista. Fino a quando non è stato accompagnato alla costa alla volta dell’Europa.

Durante le operazioni di soccorso della Croce Rossa, il trambusto che si crea sulla nave fa scivolare in acqua il figlio più grande, sua moglie Judith si tuffa per provare a recuperarlo, ma non c’è niente da fare. Solo il corpo di Judith verrà recuperato dai soccorritori e poi tumulato nel cimitero di Matera.

La storia di Tresor è stata raccontata anche da Peppe Aquaro e Antonio Crispino per il Corriere della Sera.

“Ho due bambini. Avevo un terzo figlio, Tracy. E’ morto, è scomparso nell’acqua. Anche mia moglie è morta.”

Tresor, in IO SONO di Luisa Menazzi Moretti

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Dall’omelia di Mons. Caiazzo per il funerale di Judith

Dietro questa morte c’è il gesto eroico di una mamma che non ha esitato a lasciarsi ingoiare dalle onde del mare pur di tentare di salvare il suo piccolo figlio.
Insieme a lei ogni giorno, ormai nel disinteresse generale, decine e decine di uomini, donne e bambini, che diventano centinaia, migliaia continuano a riempire i nostri mari. Sono numeri? Sotto tanti aspetti sì. Anche Judith era diventata il N. 7 fino a quando non si è arrivati al riconoscimento. Ma la maggior parte di essi sono identificati come numeri. E questo potrebbe essere normale ai fini burocratici e legislativi. La cosa più triste è quando, anche per colpa di taluni organi di informazione a livello nazionale (TV commerciali come vengono definite) si martella quotidianamente facendo passare volti di persone come me, come te, come numeri pericolosi che vengono a rovinare le nostre terre.

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Tresor è stato anche tra i protagonisti della mostra fotografica “Io sono” curata da Luisa Menazzi Moretti, prodotta da Città della Pace per i Bambini Basilicata, Cooperativa Sociale il Sicomoro e Arci Basilicata. Il progetto è composto da venti ritratti fotografici di grandi dimensioni di rifugiati e richiedenti asilo, ai quali si affiancano altrettanti pannelli con i testi delle loro storie raccolti dall’artista durante la sua recente permanenza in Basilicata.
Ogni singola persona, dunque, con il suo vissuto tragico ed il diritto alla ricerca di un futuro migliore, è al centro del lavoro della fotografa: quello di Luisa Menazzi Moretti è un invito allo spettatore a riconoscere l’unicità di ogni singola esperienza, di ogni ritratto, di ogni distinta vicenda umana. Un tentativo di comprensione, la possibilità di intuire le vite degli altri, di ognuno di essi.

Il percorso di inserimento lavorativo con il progetto Fra Noi

FraNoi, storie di integrazione: Tresor

"È bello che io che sono nuovo qui a Matera, sto aggiustando le case vecchie"Anche Tresor racconta la sua storia e i suoi progetti qui a Matera, che stiamo provando ad accompagnare, prima con lo #SPRAR e ora con #FAMI #FraNoi insieme al Consorzio Farsi Prossimo. Buon futuro Tresor, a te e alla tua magnifica famiglia!👉👉 Scopri anche le altre storie su http://www.ilsicomoro.net/fami-fra-noi-i-volti-e-le-storie-lucane/

Pubblicato da Il Sicomoro su Domenica 7 ottobre 2018

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Parte InterTrainE, progetto Erasmus+

Parte InterTrainE, progetto Erasmus+

Calcio d'inizio, palla al Sicomoro, si vola ad Edimburgo

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Il 22 e 23 ottobre Il Sicomoro ha partecipato al Kick off Meeting del progetto Erasmus + InterTrainE , “Intercultural Trainings for Educators” coordinato dalla Heriot – Watt University di Edimburgo, con la collaborazione di partner europei : Kekaper di Rehymno (Grecia), Creative Learning Programmes Ltd di Edimburgo (UK), Learning for Integration ry di Helsinki (Finlandia), e European Education & Learning Institute di Rehymno (Grecia).

L’immigrazione in Europa è sempre un tema centrale, il numero degli arrivi dei migranti e dei rifugiati continua a crescere. E la loro integrazione ed inclusione nella società è una priorità per gli stati europei.  Partecipando a questo progetto vogliamo sviluppare le competenze interculturali dei formatori che operano a stretto contatto con i migranti.

INTERCULTURAL TRAINING FOR EDUCATORS

“Mi ha molto sorpreso e stimolato il forte interesse dell’Univiersità di Edimburgo per le nostre progettazioni. Dobbiamo sempre di più puntare sull’Europa”

Nicoletta Melchiorre, operatrice SPRAR Matera

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La buona integrazione parte sempre dalla buona formazione degli operatori

Il progetto nasce con l’obiettivo di creare e testare un nuovo curriculum formativo per migliorare le competenze interculturali dei docenti impegnati in corsi di insegnamento rivolti ai migranti e rifugiati adulti. Si prevedono diverse attività che saranno propedeutiche alla realizzazione di una piattaforma online, in cui i formatori che lavorano a contatto con stranieri o migranti potranno seguire un corso di formazione approfondito sull’educazione al multiculturalismo.

europa erasmus+

La prima fase del progetto si concentrerà, in particolare, sulla ricerca dei fabbisogni formativi dei docenti: tramite due brevi questionari, faremo domande agli studenti stranieri/migranti e ai formatori sulle loro esperienze di formazione, concentradoci in particolare sui momenti di crisi e i momenti di successo, in modo tale da delineare il sistema formativo attualmente in vigore ed individuarne le lacune. La relazione finale che seguirà, e che includerà un confronto con la situazione vigente in tutti i Paesi partner, sarà utilizzata come punto di partenza per cominciare a costruire un percorso formativo innovativo ed efficace, rivolto a colmare le mancanze e a potenziare i punti di forza di ciò che già esiste in tema di educazione multiculturale.

Misurare e confrontare per crescere insieme

Nei giorni scorsi sui nostri social abbiamo diffuso questi questionari e, grazie ai dati raccolti, abbiamo redatto la relazione descrittiva della situazione in Italia.

Per rimanere aggiornati sul progetto è possibile consultare la sezione del sito della Commissione Europea dedicata al progetto.

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Said, la mia storia da San Chirico Raparo a Panecotto

Said, la mia storia da San Chirico Raparo a Panecotto

Arrivato in Italia a 14 anni, la sua storia tiene dentro i tanti volti del Sicomoro

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Said aveva quattordici anni quando è arrivato in Italia. Nei diari di bordo di quel maledetto giorno non c’era l’Italia, ma la solita rotta commerciale che ormai era capace di percorrere nella sua memoria a occhi chiusi: su quella barca ci è cresciuto Said. Come suo nonno, il nonno di suo nonno: erano pescatori da generazioni.

Tanto che gli bastarono solo due anni di scuola in Egitto a rendere evidente quello che già sapeva: non era fatto per stare sui libri, ma lì, su quel magnifico, immenso, castello galleggiante, per pescare e navigare, e poi scendere a contrattare, urlare e litigare, nei mercati più importanti del Mediterraneo. Lì era la sua vita, aveva solo 13 anni e questa certezza.

Egitto, Libia, Malta. E poi al contrario, fino a casa. Invece no. Quel giorno le cose non andarono così. Le urla strazianti di venti, cento, mille – erano tantissimi – tra uomini, donne e bambini, venivano dal mare come minacce di condanna. Una carretta carica di immigrati si era rovesciata in mare aperto, lasciano scivolare in acqua disperazione e terrore. Salvarli, come? Caricarli, per portarli dove? E poi? Troppe domande, bisognava fare qualcosa, era già lì la morte che, uno ad uno, li stava tirando giù.

Tornare in Egitto con quel carico di fame e disperazione avrebbe significato l’ergastolo, lo sapevano. Venire in Italia in quel momento era l’unica soluzione. “No, no, vi prego! Torniamo a casa, vi prego”, provava a far sentire la sua voce Said, ma nella cabina nessuno gli diede retta.

Fu assegnato alla Comunità per minori stranieri non accompagnati a San Chirico Raparo, proprio mentre il Sicomoro stata per assumerne la gestione. Arrivammo insieme in quel piccolo paese in provincia di Potenza.

Pianse per settimane, mesi forse: doveva tornare a casa! Finché da casa arrivò quella telefonata: “è meglio che stai lì, figlio mio, studia, fatti una vita, che qui, senza la barca ormai, non è più come prima”. Era la voce di sua madre, anche se non voleva crederci, non poteva essere.

“Nella mia cucina mi piace raccontare la mia storia, fatta di contaminazioni lontane e sorprese inaspettate”

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Avevamo una barca, andavamo a pescare con i miei fratelli, ero il più piccolo.

Said a San Chirico Raparo torna a scuola e prende la licenza media. Arriva il tempo delle scuole superiori e decide che da grande vuole fare lo chef. La famiglia di Valeria, la prima operatrice del Sicomoro che aveva conosciuto a San Chirico Raparo, accetta di prenderlo in affido, per permettergli di frequentare l’istituto alberghiero a Matera.

Dopo poco il Sicomoro decide di seguire il bistro Panecotto, nei Sassi di Matera e propone a Said di iniziare a seguire questo progetto. Intanto si diploma e diventa ufficialmente il primo chef di Panecotto. Contribuisce poi con lo chef Federico Valicenti a dar vita al menu dei colori che ora porta in giro per la Basilicata.

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Said è stato protagonista anche della mostra IO SONO di Luisa Menazzi Moretti.

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