Kingsley, la cartapesta è senza stress

Kingsley, la cartapesta è senza stress

Tratto da Il carro e il leone, di Andrea Semplici, 2019

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Si fugge dal proprio paese perché si è in pericolo. Perché le minacce alla tua famiglia sono la storia di ogni giorno. Ti hanno gettato addosso acido. Hai paura. Cosa è accaduto, Kingsley? ‘La politica…’. Non chiedo altro. Benin City è una città violenta. Crocevia del traffico di donne, mercato delle prostitute. Oltre l’80% delle donne nigeriane che vediamo nelle strade italiane proviene da lì. È un inferno la vita quotidiana in questa città. Meglio andarsene.

Kingsley ha 38 anni. Non è un ragazzino. Aveva poco meno di 35 anni quando, senza avvertire nessuno, nemmeno suo padre (‘mi avrebbe fermato’), se ne è andato dalla sua casa e dalla sua città. Con due figli piccoli. Ha preso un autobus, ha varcato il confine di tre stati (il Benin, il Togo, il Ghana), è andato verso occidente per salire a Nord. Addio all’oceano, adesso Kingsley e i suoi bambini devono attraversare le savane del Burkina Faso e del Niger. Poi sarà il Sahara.

“Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli”

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Kingsley era un traditional doctor a Benin City. Un medico tradizionale. Curava con le erbe. Aveva imparato da suo nonno. ‘Mi mandava a raccoglierle nei campi, mi spiegava, mi permetteva di assistere alle sue visite’. Riesco a immaginarlo: un bambino che vede le donne e gli uomini che cercano un aiuto alle loro malattie. Un mestiere importante nella città africana. Un ruolo sociale. ‘Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli’. Noi bianchi e occidentali non possiamo capire. Il mestiere non è riuscito a convincerlo a rimanere. Troppo forti i pericoli che correva se rimaneva a casa. Solo dalla Libia ha telefonato al padre.

Ha un’aria da rapper, Kingsley. Cappellino da baseball, catenella in tasca per le chiavi, bracciali al polso, capelli con la gommina, una barba leggera e ben curata. Deve ascoltare molta musica: piccoli amplificatori sono agli angoli della casa a Spine Bianche, in cui è accolto con un progetto del Comune e della Cooperativa Il Sicomoro. Racconto a Kingsley la storia di questo quartiere di Matera, uno dei ‘quartiere dell’esodo’. Lui abita a un piano terra, sulla piazza. Via Petrasa, dice. No, è via Petrarca.

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Osservo le sue dita mentre incollano strisce di cartapesta. È rapido, attento, veloce. Instancabile. Sono strani i curriculum europei in cui cercano di rinchiudere la tua vita. È un curriculum di poche righe che Kingsley mostra con un orgoglio africano: in Italia ha fatto tre mestieri, il lavapiatti, il bracciante e, ora, l’apprendista cartapestaio. Ha imparato in mezza mattinata. ‘È come se la cartapesta non avesse segreti per lui’, mi dice Raffaele. Non esiste una traduzione inglese per cartapesta. Kingsley la chiama art work, lavoro artistico.

‘Noi non abbiamo la cartapesta – mi dice all’improvviso – Ma siamo bravi a modellare le maschere. Carving – e fa il gesto del martello e dello scalpello – noi lavoriamo il legno. Qui si preferisce la carta. È la stessa cosa’.

Cosa è accaduto a Kingsley alla Fabbrica del Carro? È il più puntuale al mattino, lavora a testa bassa, ha accelerato i tempi della creazione degli stampi. ‘Mi piace la cartapesta perché è senza stress’. Mi faccio ripetere le sue parole: ‘No stress in the cartapesta’. Si porta il dito indice alla tempia. E sorride. Mette allegria il viso squadrato di Kingsley.
‘È come se la cartapesta lo abbia cambiato. È un altro. Come se averla fra le mani gli abbia indicato una strada’, mi dice una ragazza che, da tempo, segue i percorsi di Kingsley.

Kingsley ha già preso parte alla Festa della Bruna. Cosa penserà un africano della nostra follia? ‘Mesi di lavoro e di fatica vengono distrutti in un minuto. I ragazzi vogliono portarsi un frammento del Sacro a casa. Lo vogliono appendere a un muro, metterlo sul tavolo. Vogliono il Sacro vicino a loro’. Posso confessare: Kingsley non ha usato la parola ‘sacro’, ha detto: ‘Dio’. E anche io, per un momento, credo di aver capito cosa vi è, oltre le parole, dietro a quanto avviene nella piazza di Matera nella notte del 2 di luglio. Kingsley, da africano, mi ha messo sulla strada dell’inspiegabile.

Le foto in questo articolo sono di Antonio Sansone, tratte – come l’articolo di Andrea Semplici – dal libro “il carro e il leone”. La cronaca, i volti, le storie della rinascita di una grande scultura mobile, il carro Trionfale in cartapesta costruito da una piccola comunità di artigiani che quest’anno si è arricchita della presenza di ragazzi stranieri rifugiati e artisti non locali.

Per acquistare un copia del libro contattaci. Il ricavato della vendita del libro sarà destinato al sostegno delle rette degli anziani in situazione di solitudine e povertà ospiti della Residenza Brancaccio.

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Betty Williams incontra la Silent Academy

Betty Williams incontra la Silent Academy

I protagonisti della Silent Academy con il premio Nobel per la Pace

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Il premio Nobel per la Pace Betty Williams incontra i maestri migranti della Silent Academy e alcune modelle che stasera, alle 19 in piazza Duomo, daranno vita ad una performance firmata dal regista Mariano Bauduin. Protagonisti gli abiti firmati dallo stilista Eloi Sessou che si raccoglieranno sotto un grandissimo mantello in emergency blankets, le coperte dorate usate durante gli sbarchi, simbolo delle tragedie del Mediterraneo.

Betty Williams ha ascoltato commossa le storie di Absa, arrivata in Italia a 15 anni, che sogna di diventare una stilista e frequenta l’istituto di moda materano, e di Jennifer, anche lei arrivata in Italia ancora minorenne ora ospite del progetto SPRAR del Comune di Matera, gestito dalla cooperativa sociale il Sicomoro, che produce con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 la Silent Academy.

“Questi vestiti sono favolosi, incredibili, perché raccontano una storia di integrazione. In Basilicata i rifugiati accolti vengono considerati dei valori, delle persone che possono portare un valore al nostro territorio. Questo progetto ne è l’esempio”

Betty Williams Presidente della Fondazione Città della Pace e Premio Nobel per la Pace

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Betty Williams è impegnata da anni in Basilicata a favore dei rifugiati con la Fondazione Città della Pace e dei Bambini, partner del progetto Silent Academy. La fondazione nasce nel 2003 durante la mobilitazione popolare in risposta al progetto di localizzare un deposito di materiale radioattivo in Basilicata a Scanzano Ionico, Betty Williams intervenne a sostegno di un utilizzo alternativo di questo territorio. Così da allora si occupa di realizzare un percorso di accoglienza, tutela e integrazione per le persone che hanno subito persecuzioni o temono di subirne a causa della loro etnia, religione, nazionalità o appartenenza a un certo gruppo sociale.

Il nobel per la pace

Ha ricevuto – assieme a Mairead Corrigan – il Premio Nobel per la Pace nel 1976 per il suo ruolo di cofondatrice della Community of Peace People, un’organizzazione che si batteva per una soluzione pacifica della questione dell’Irlanda del Nord. Attualmente è a capo della Global Children’s Foundation ed è presidente del World Centers of Compassion for Children International.

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Carlo, volto del Brancaccio

Carlo, volto del Brancaccio

Matera città del cinema, la sua memoria nella Residenza per anziani

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La Residenza Brancaccio è la Casa della memoria cittadina, una memoria viva e ricca di sorprese inaspettate. Come quella del sig. Carlo, residente storico ormai del Brancaccio, che non si è perso neanche uno dei tanti set cinematografici che hanno animato la città negli ultimi decenni. “Appena c’è un film nuovo mi chiamano” dice orgoglioso, ha dedicato un intero cassetto dell’armadio in camera per conservare le foto scattate in compagnia di registi e attori arrivati a Matera, tutte rigorosamente in abiti di scena.

Al Brancaccio lo chiamano “il capoclasse”, alla soglia dei 90 anni ha ancora vivissimo lo spirito goliardico e affabulatorio con cui anima la vita della piccola comunità di coinquilini, non senza regalare qualche grattacapo agli operatori. Ci mostra la sua auto parcheggiata accanto a quella della direttrice e racconta orgoglioso dei suoi giri pomeridiani: i cantieri sono la sua passione e i suoi consigli sono apprezzatissimi dai capocantieri – dice lui – perché è l’unico che ricorda bene com’erano prima case e strade.

“Tutti mi chiedono come si viveva nei Sassi, ma ora la mia vita è al Brancaccio, è la mia casa, mi piace scherzare e stare in compagnia, sto bene”

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DAL GRANDE AL PICCOLO SCHERMO CON MATERA 2019

Con Matera 2019 Carlo ha dismesso gli abiti di scena per inventarsi nei panni di testimone ufficiale della storia di riscatto e rinascita della città di Matera. A scoprire il talento di Carlo per la prima volta è stata Elena Malizia, che per TG2 Dossier ha raccontato il lungo percorso di Matera da Vergogna di Italia a Capitale della Cultura proprio a partire dalle storie, dai volti e dai ricordi dei residenti del Brancaccio. La puntata si apre con la voce commossa del maestro Lamanna, studioso acuto della storia cittadina anche lui residente al Brancaccio, per poi accompagnare gli spettatori nel cuore dei Sassi guidati proprio da Carlo, che mostra orgoglioso dov’era la sua casa.

Il debutto sul primo canale non si farà attendere, sarà Valentina Bisti a chiedere al nostro Carlo un servizio interamente dedicato alla sua Matera, per il TG1 delle 20.

Carlo allora viene tradotto, come nella tradizione dei migliori saggisti, in francese, tedesco e inglese, grazie al bellissimo lavoro della televisione franco tedesca Arte, che gli dedica un servizio poi reso disponibile su arte.tv.

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Daniela, la mia storia sotto il manto

Daniela, la mia storia sotto il manto

Il lavoro aiuta a crescere

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Daniela, con la sua storia, le sue aspirazioni, ha accompagnato il Sicomoro lungo una strada di impegno difficile ed entusiasmante, che si è coronata da poco. E’ la strada che ha riportato in attività la cooperativa sociale MEST, con cui il Sicomoro ha raccolto la sfida di creare un contenitore dedicato alle attività di inserimento lavorativo speciale.

Un percorso che Daniela conosce bene e che ha affiancato con tenacia e pazienza, dalle prime sperimentazioni con “Linea d’ombra” fino all’opportunità che si è aperta con la gestione della Residenza Brancaccio, di costruire le condizioni per un lavoro davvero a misura di tutti.

È anche così che Daniela è diventata una delle protagoniste della Silent Academy, il progetto che stiamo producendo con la Fondazione Matera Basilicata 2019. C’era anche lei, vestita di bianco, sotto il grande mantello dorato che ha preso vita nell’azione scenica firmata da Mariano Bauduin il 20 marzo scorso. “Sotto lo stesso manto” è il titolo della performance che la Silent Academy ha messo in scena nella Chiesa del Purgatorio, a Matera. Un manto diventato simbolo di una città che sa accogliere e integrare, grazie ai percorsi costruiti dalle tante realtà attive del privato sociale.

Occasione che ha permesso a Daniela di incontrare nei giorni precedenti il premio nobel Betty Williams, interessata a conoscere meglio la Silent Academy, di cui è partner con la Fondazione Città della pace e dei bambini.  La storia e forza di Daniela hanno colpito molto il nobel per la pace in visita a Matera, tra le due è nata subito un’intesa incredibile culminata in un lungo abbraccio che ha emozionato tutti.

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“Il lavoro è importante! Devo stare attenta a tante cose, non è sempre facile, ma i miei colleghi sono bravissimi e mi aiutano sempre”

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LINEA D’OMBRA

Il progetto “Linea d’ombra” finanziato da Fondazione con il Sud ha inteso sostenere l’inserimento lavorativo di soggetti portatori di disabilità psichiche attraverso un programma di tirocini formativi che ha coinvolto la maggior parte degli enti e dei servizi territoriali materani coinvolti nell’integrazione sociale e lavorativa di persone con disagio e disabilità psichica.

Dal punto di vista organizzativo il progetto, che si è basato su un approccio di de-istituzionalizzazione del disagio psichico, ha previsto due principali fasi di lavoro.
Una prima fase di ingresso e accoglienza ha previsto, grazie al coinvolgimento di un’equipe multidisciplinare, l’attivazione di interventi di orientamento e attività laboratoriali e di socializzazione di gruppo, finalizzati ad una valutazione delle competenze e delle abilità sociali dei destinatari. Successivamente, sono stati avviati i venti percorsi di uscita – i tirocini di inserimento lavorativo – che sono stati personalizzati sulle caratteristiche dei destinatari e hanno coinvolto sia imprese profit esterne, che cooperative sociali.

Un’esperienza pilota sarà, inoltre, dedicata alla sperimentazione di un modello di inserimento lavorativo – il lavoro supportato – per persone affette da autismo e altre disabilità di grande dipendenza.

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Il sogno di Qamar

Il sogno di Qamar

Oggi gestisce uno dei fast food più popolari a Matera

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Quella di Qamar è una storia di speranza, di sacrificio, di amore, di tenacia; 37 anni, rifugiato politico pakistano.

È l’estate del 2013. Qamar vive in Pakistan, è sposato con Fatima e ha 3 bambine. Lavora come autista di ambulanza per un’organizzazione non governativa di Karachi, fulcro del settore finanziario ed industriale del Paese. Conduce una vita agiata e tranquilla, finché non diventa un bersaglio dei talebani:con grande disperazione ma mosso dal timore di perdere la vitae di mettere in pericolo la sua famiglia, si crea una falsa identità, lascia la sua terra ed il suo lavoro, prende un aereo ed arriva prima in Libia, poi sulle coste italiane.

È il gennaio del 2014 quando Qamar viene accolto nel campo profughi di Caltanissetta, dove la Commissione territoriale gli riconosce la protezione internazionale

“Sono riconoscente al Governo italiano, mi ha protetto e continua a farlo, non solo, ha consentito anche alla mia famiglia di trovare la pace”

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L’ACCOGLIENZA NELLO SPRAR E LA VITA GROTTOLESE

Qamar ritrova il sorriso e la voglia di guardare avanti nel 2015, a Caltanissetta, quando ottiene il ricongiungimento familiare: sua moglie, Aansa, Laiba e Hadia lo raggiungono in Italia, ed insieme vengono accolti nel progetto SPRAR di Grottole, piccolo borgo della collina materana, abitato da 1500 anime, che ospita la nuova famiglia con grande gioia, facendola sentire a casa ed offrendole generosità e calore.

Qamar consegue licenze, tra cui la patente di guida italiana, segue corsi di formazione, frequenta con interesse il corso di lingua italiana e, da subito, trova un impiego in una bottega materana che lavora il tufo.

Si reca a Matera, a Bari, in Trentino, dove svolge una piccola esperienza lavorativa come cameriere in un resort tirolese, conosce tanta gente, si interfaccia con diversi enti locali e getta le basi per la realizzazione della sua aspirazione: aprire un’attività commerciale in Italia.

“A me piace stare con gli italiani, sono persone gentili, hanno fatto molto per me e la mia famiglia, se solo potessi ricambiare…..”

Anche le sue piccole donne si integrano, a piccoli passi, nella comunità grottolese: le bambine ridono, giocano spensierate per le strade del paese, riscoprendo, persino il piacere di andare a scuola senza temere il suono assordante delle sirene; Fatima partecipa ai laboratori interculturali del posto, conoscendo altre donne, sperimentando una cultura alla quale vorrebbe avvicinarsi e, trasmettendo, allo stesso tempo, amore per la sua lontana terra.

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LA SVOLTA

Nel luglio 2017 la Famiglia lascia il progetto Sprar e, con l’aiuto della Cooperativa Il Sicomoro, riesce a trovare un modesto appartamento nel centro storico Di Grottole; potrebbero abbandonare il sud Italia migrando verso nord in cerca di migliori opportunità di vita ma decidono di restare qui perché ormai sentono Grottole una seconda casa ed i grottolesi una seconda famiglia. Qamar è comunque costretto a viaggiare tutti i giorni, per cercare lavoro e, con tanti sacrifici, ed un piccolo supporto economico di suo

fratello, riesce a comprare una piccola automobile e accetta la proposta che gli cambierà la vita: diventare gestore di un fast food, il PATATA SHOP di Matera, locale centralissimo della fiorente Capitale della Cultura frequentato da giovani e meno giovani; l’incredulità di tutti e la diffidenza della sua stessa famiglia non fermano il neo imprenditore nel suo preciso intento che lui accoglie come un regalo di Allah. A circa sei mesi dall’apertura del suo “ristorante” e ad un anno dalla fine dell’accoglienza nello SPRAR di Grottole, Qamar è uno straniero completamente integrato e regolarmente affermato nel mondo del lavoro italiano. Al momento è in cerca di tirocinanti che possano aiutarlo nella conduzione della sua attività.

“Mi sento un uomo fortunato ma se Dio volesse graziarmi, gli chiederei un figlio maschio!”

Aspettiamo la risposta di Fatima.

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Einstein, dislessico geniale?

Einstein, dislessico geniale?

Cos'è la dislessia e come affrontarla

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Sono davvero tante le testimonianze di attori, scrittori, scienziati e uomini di business che si sono fatti strada trasformando la loro difficoltà di partenza in una marcia in più. Einstein, Victoria Beckham, Agatha Christie, George Washington, Leonardo Da Vinci,Pablo Picasso sono solo alcuni tra i nomi più noti che hanno dovuto fare i conti con i disturbi specifici dell’apprendimento, dimostrando che possono non essere soltanto un limite, anzi!

Whoopi Goldberg, l’attrice premio Oscar per il film «Ghost – Fantasma» ha raccontato: «Quand’ero piccola non la chiamavano dislessia. Ti dicevano che eri lenta, un po’ tonta. Io sapevo di non essere stupida, ma sentirsi chiamare così è una ferita difficile da rimarginare».

Anche Leonardo da Vinci, quintessenza dell’uomo rinascimentale dall’ingegno multiforme, pittore, scultore, architetto, inventore, scienziato, letterato, è considerato un dislessico ante litteram per via della sua caratteristica scrittura speculare (da destra a sinistra e con le lettere scritte come se fossero riflesse in uno specchio), degli errori di ortografia frequenti nei suoi scritti e perché iniziava moltissimi progetti contemporaneamente portandone a termine solo una piccola parte.

È comunque impossibile una diagnosi a posteriori, come nel caso di Albert Einstein, considerato il più grande scienziato di tutti i tempi, insieme a Newton. Dal punto di vista della dislessia, il caso di Einstein è singolare perché le notizie che si hanno di lui sono contraddittorie: c’è chi lo definisce con certezza un dislessico, chi affetto da una forma di autismo, chi invece dice che ciò ha contribuito a creare un’aura di romanticismo intorno alla sua figura. La realtà è che il piccolo Albert parlò con ritardo, ebbe difficoltà a legare con i coetanei e imparò a leggere all’età di nove anni.

“Da bambino non andai mai particolarmente bene o male a scuola. Il mio principale punto debole era una memoria povera, soprattutto per quanto riguarda le parole e i testi; non affollavo la mia memoria con i fatti che avrei potuto trovare facilmente in una enciclopedia”

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Einstein in “Le aquile sono nate per volare”

Come studente Einstein trovava la scuola noiosa e intimidatoria e preferiva studiare da solo Fisica e suonare il violino. E’ vero. Einstein non superò gli esami per accedere all’università, anche perché, oltre ad avere soltanto sedici anni, due anni sotto la media, non aveva studiato. Nel 1900, infatti, riuscì a superare gli esami finali studiando dagli appunti di un compagno di classe: tuttavia il suo professore non gli consentì di proseguire gli studi. Fu Einstein stesso a dichiarare che non fu un bravo studente; egli sapeva di avere poca memoria; non riusciva soprattutto a scrivere correttamente dei testi. Non riuscendo a risolvere i problemi di matematica e di scienza, inventò una sua strategia; nel suo studio aveva una lavagna dove c’erano scritte le tabelline: Einstein non le imparò mai! Si pensa che fu proprio il suo modo inusuale di risolvere i problemi e l’essere un “sognatore” che l’ha aiutato a diventare il più grande scienziato del mondo.

Tratto da “Le aquile sono nate per volare”, Rossella Grenci , Edizioni La meridiana

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Chi sono i bambini dislessici?

I bambini dislessici corrono il rischio di essere etichettati come pigri, svogliati e disattenti. Perché fanno fatica a imparare a leggere e non riescono a farlo speditamente, col rischio di non capire quello che leggono. Difficilmente poi non incappano in qualche errore durante i dettati e, a volte, imparare a memoria una poesia è un’impresa tutta in salita. Ma non è questione di scarso impegno o mancanza di concentrazione; il bambino con Dislessia è particolare anche quando non legge: quando parla usa parole diverse tra loro credendo che significhino la stessa cosa, oppure ha poco interesse a parlare in maniera “corretta” e fatica ad imparare il linguaggio specifico delle varie materie. Non memorizza parole nuove con facilità ed è lento nel ricordare l’alfabeto, oppure non lo impara del tutto. Quando ascolta, il bambino potrebbe non comprendere del tutto il senso di ciò che gli viene detto, se il pensiero è ricco di frasi subordinate e se sono pochi gli esempi legati alla realtà concreta presenti nel discorso.

Come si manifesta?

La dislessia si presenta in quasi costante associazione ad altri disturbi. Si manifesta con una lettura scorretta ovvero numerosi errori commessi durante la lettura o maggior tempo nell’esecuzione. Può manifestarsi anche con una difficoltà di comprensione del testo scritto indipendente sia dai disturbi di comprensione in ascolto che dai disturbi di decodifica (correttezza e rapidità) del testo scritto. Il bambino spesso compie nella lettura errori caratteristici come l’inversione di lettere e di numeri e la sostituzione di lettere (m/n; v/f; b/d).Spesso il bambino finisce con l’avere problemi psicologici, quale demotivazione, scarsa autostima, ma questi sono una conseguenza, non la causa della dislessia.

Indicatori di rischio

1)difficoltà nell’associazione grafema-fonema e/o fonema grafema;
2) mancato raggiungimento del controllo sillabico
3) eccessiva lentezza

Come intervenire

Nel Centro per l’età evolutiva Eta Bet del Sicomoro, abbiamo affinato numerosi strumenti per aiutare a far fronte a questi disturbi.

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Brancaccio il Vescovo che ha cambiato la città

Brancaccio il Vescovo che ha cambiato la città

Dalla Bruna alla Cattedrale, anche se a Matera lo ricordano solo per la Residenza per anziani

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Quello nella foto non è Mons. Brancaccio, ma Lanfranchi, i due avevano molte cose in comune, a partire dall’ordine monastico a cui appartenevano. Ma di Mons. Brancaccio non è sopravvissuto alcun ritratto. A differenza del suo imponente stemma episcopale, che invece troneggia in Cattedrale.

Mons. Antonio Maria Brancaccio, di origine napoletana, fu arcivescovo della diocesi di Matera ed Acerenza dal 1703 al 1722. Durante il suo episcopato modificò per sempre il volto della città.

L’opera più importante fu senza dubbio l’ammodernamento della Cattedrale (non interamente con lode, annota lo storico Morelli, non possiamo dargli torto), trasformata circa un secolo più tardi in una domus aurea per tutti gli stucchi e le doratue che furono aggiunti. È opera del nostro anche il Salone degli stemmi, la bellissima aula episcopale dove sono rappresentati i 24 paesi che facevano parte della diocesi, oltre ai ritratti degli arcivescovi dal Medioevo fino a metà Ottocento. Tra questi anche quello di Brancaccio, che però è andato perduto: dei saggi effettuati durante i lavori hanno rivelato che non si trova neanche sotto l’intonaco della che doveva originariamente ospitare il volto di Brancaccio. Molte testimonianze del glorioso episcopato sono oggi esposte al museo MATA.

È meno frequente, però, ricordare Mons Brancaccio per le opere ancor più importanti realizzate a favore dei poveri della città.

“In un secolo turbinoso quale fu il XVIII, il Secolo dei Lumi, a Matera si palesò la figura di uno dei più forti arcivescovi della Diocesi, che impegnò tutto se stesso a favore dei più poveri”

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L’opera sociale di Mons. Brancaccio

Istituì a Matera il primo “Monte frumentario”, opera benefica destinata a fornire agli agricoltori bisognosi il grano per la semina e per il sostentamento delle loro famiglie.

Ma l’opera per la quale ancora oggi viene ricordato è l’istituzione della Residenza per anziani che ancora porta il suo nome. Questa casa di riposo è tutt’altra da quella che fu “di Sant’Agostino”, che nel 1870 per l’eversione dei beni della Chiesa allo Stato italiano fu trasformata in caserma fino alla prima guerra mondiale. In seguito, finì per accogliere agli anziani poveri, con il patrocinio del Comune e delle famiglie benestanti, le cui donne erano conosciute col nome di “Dame della Carità”, coadiuvate dalle suore di S. Vincenzo. Questa sede fu poi abbandonata per carenza di servizi igienici. Fino all’erezione nel 1980 della moderna Residenza Brancaccio.

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A Mons. Brancaccio si deve anche la fondazione del monastero delle Clarisse, inizialmente una comunità di pentite che adottarono la regola di Santa Chirara, divenuta col tempo “centro di spiritualità francescana, rimasto vivo fino ai primi del secolo scorso.

La Cattedrale di Matera

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Tresor, artigiano della Silent Academy

Tresor, artigiano della Silent Academy

In Congo studiava architettura, a Matera lavorerà all'opera di Mimmo Paladino per Matera 2019

  • Tresor

Tresor è uno dei maestri migranti della Silent Academy, il progetto di Matera 2019 che il Sicomoro sta portando avanti con Fondazione Matera – Basilicata 2019. Sarà lui infatti a guidare i laboratori per la realizzazione della grande opera che l’artista Mimmo Paladino donerà alla Città.

Tresor e i suoi bambini sono stati ospiti del progetto SPRAR del Comune di Matera e poi beneficiario del progetto Fami Fra Noi, grazie al quale ha potuto fare un tirocinio presso un’impresa edile che l’ha poi assunto.

La storia di Tresor è una storia di rinascita e coraggio. Giovane studente di architettura è costretto a lasciare il Congo con sua moglie e i suoi tre figli. Dopo il carcere libico, che non ha risparmiato neanche i suoi figli, ha comprato la libertà della sua famiglia facendo il piastrellista. Fino a quando non è stato accompagnato alla costa alla volta dell’Europa.

Durante le operazioni di soccorso della Croce Rossa, il trambusto che si crea sulla nave fa scivolare in acqua il figlio più grande, sua moglie Judith si tuffa per provare a recuperarlo, ma non c’è niente da fare. Solo il corpo di Judith verrà recuperato dai soccorritori e poi tumulato nel cimitero di Matera.

La storia di Tresor è stata raccontata anche da Peppe Aquaro e Antonio Crispino per il Corriere della Sera.

“Ho due bambini. Avevo un terzo figlio, Tracy. E’ morto, è scomparso nell’acqua. Anche mia moglie è morta.”

Tresor, in IO SONO di Luisa Menazzi Moretti

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Dall’omelia di Mons. Caiazzo per il funerale di Judith

Dietro questa morte c’è il gesto eroico di una mamma che non ha esitato a lasciarsi ingoiare dalle onde del mare pur di tentare di salvare il suo piccolo figlio.
Insieme a lei ogni giorno, ormai nel disinteresse generale, decine e decine di uomini, donne e bambini, che diventano centinaia, migliaia continuano a riempire i nostri mari. Sono numeri? Sotto tanti aspetti sì. Anche Judith era diventata il N. 7 fino a quando non si è arrivati al riconoscimento. Ma la maggior parte di essi sono identificati come numeri. E questo potrebbe essere normale ai fini burocratici e legislativi. La cosa più triste è quando, anche per colpa di taluni organi di informazione a livello nazionale (TV commerciali come vengono definite) si martella quotidianamente facendo passare volti di persone come me, come te, come numeri pericolosi che vengono a rovinare le nostre terre.

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Tresor è stato anche tra i protagonisti della mostra fotografica “Io sono” curata da Luisa Menazzi Moretti, prodotta da Città della Pace per i Bambini Basilicata, Cooperativa Sociale il Sicomoro e Arci Basilicata. Il progetto è composto da venti ritratti fotografici di grandi dimensioni di rifugiati e richiedenti asilo, ai quali si affiancano altrettanti pannelli con i testi delle loro storie raccolti dall’artista durante la sua recente permanenza in Basilicata.
Ogni singola persona, dunque, con il suo vissuto tragico ed il diritto alla ricerca di un futuro migliore, è al centro del lavoro della fotografa: quello di Luisa Menazzi Moretti è un invito allo spettatore a riconoscere l’unicità di ogni singola esperienza, di ogni ritratto, di ogni distinta vicenda umana. Un tentativo di comprensione, la possibilità di intuire le vite degli altri, di ognuno di essi.

Il percorso di inserimento lavorativo con il progetto Fra Noi

FraNoi, storie di integrazione: Tresor

"È bello che io che sono nuovo qui a Matera, sto aggiustando le case vecchie"Anche Tresor racconta la sua storia e i suoi progetti qui a Matera, che stiamo provando ad accompagnare, prima con lo #SPRAR e ora con #FAMI #FraNoi insieme al Consorzio Farsi Prossimo. Buon futuro Tresor, a te e alla tua magnifica famiglia!👉👉 Scopri anche le altre storie su http://www.ilsicomoro.net/fami-fra-noi-i-volti-e-le-storie-lucane/

Pubblicato da Il Sicomoro su Domenica 7 ottobre 2018

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Yunus, il Nobel per la pace a Panecotto

Yunus, il Nobel per la pace a Panecotto

Muhammad Yunus alla scoperta del ristorante etico di Matera

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L’inventore del microcredito in visita a Panecotto, per un modello lucano di Social Business.

Il premio Nobel per la pace 2006, Muhammad Yunus punta alla Basilicata e inizia il suo viaggio alla scoperta del modello lucano di Social Business proprio da Panecotto. Il piccolo Bistrot Etico, nel cuore dei Sassi di Matera, ha affascinato e incuriosito l’economista bengalese ideatore del microcredito. Numerosissime sono infatti le domande che ha rivolto ai soci di MeST, la cooperativa che ha in gestione Panecotto. E l’approdo di ogni domanda finiva col confermare puntualmente la vicinanza del modello sviluppato negli anni con il Consorzio La Città Essenziale, ideatrice del progetto Panecotto, a quello di Social Business delineato da Yunus nel suo ultimo libro “Come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione ed inquinamento”.

“Dato che il capitalismo è un sistema incompleto, bisogna integrarlo introducendo un nuovo tipo d’impresa, che tenga nel giusto conto la natura multidimensionale degli esseri umani.”

Muhammad Yunus, premio nobel per la pace

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Panecotto e il Sicomoro modelli da cui partire

L’impresa sociale, che metta al centro la persona, l’altruismo e la generosità, è oggi l’unica risposta credibile, perché concreta, ai problemi della disoccupazione giovanile, della povertà e dell’inquinamento. E trova in Panecotto un esempio da cui partire, per l’infrastrutturazione in Basilicata di un HUB per il Social Business che sia capace di rendere replicabile esperienze come quella del Bistrot Etico materano.

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A far meritare il premio Nobel a Muammad Yunus nel 2006, c’è senza dubbio l’invenzione della Grameen Bank, la prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri basandosi non sulla sovibilità, bensì sulla fiducia. Il progetto del banchiere dei poveri, oggi invece guarda alla Basilicata, e con il primo appuntamento di Yunus a Panecotto ha preso idealmente il via. Un progetto che affonda le sue radici in anni di lavoro preparatorio tra la Fondazione Città della Pace, Yunus Center e Regione Basilicata e che a maggio 2018 attraverso la sottoscrizione di un Memorandum ha previsto la creazione del primo HUB sperimentale sul Social Business in Basilicata.

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Said, la mia storia da San Chirico Raparo a Panecotto

Said, la mia storia da San Chirico Raparo a Panecotto

Arrivato in Italia a 14 anni, la sua storia tiene dentro i tanti volti del Sicomoro

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Said aveva quattordici anni quando è arrivato in Italia. Nei diari di bordo di quel maledetto giorno non c’era l’Italia, ma la solita rotta commerciale che ormai era capace di percorrere nella sua memoria a occhi chiusi: su quella barca ci è cresciuto Said. Come suo nonno, il nonno di suo nonno: erano pescatori da generazioni.

Tanto che gli bastarono solo due anni di scuola in Egitto a rendere evidente quello che già sapeva: non era fatto per stare sui libri, ma lì, su quel magnifico, immenso, castello galleggiante, per pescare e navigare, e poi scendere a contrattare, urlare e litigare, nei mercati più importanti del Mediterraneo. Lì era la sua vita, aveva solo 13 anni e questa certezza.

Egitto, Libia, Malta. E poi al contrario, fino a casa. Invece no. Quel giorno le cose non andarono così. Le urla strazianti di venti, cento, mille – erano tantissimi – tra uomini, donne e bambini, venivano dal mare come minacce di condanna. Una carretta carica di immigrati si era rovesciata in mare aperto, lasciano scivolare in acqua disperazione e terrore. Salvarli, come? Caricarli, per portarli dove? E poi? Troppe domande, bisognava fare qualcosa, era già lì la morte che, uno ad uno, li stava tirando giù.

Tornare in Egitto con quel carico di fame e disperazione avrebbe significato l’ergastolo, lo sapevano. Venire in Italia in quel momento era l’unica soluzione. “No, no, vi prego! Torniamo a casa, vi prego”, provava a far sentire la sua voce Said, ma nella cabina nessuno gli diede retta.

Fu assegnato alla Comunità per minori stranieri non accompagnati a San Chirico Raparo, proprio mentre il Sicomoro stata per assumerne la gestione. Arrivammo insieme in quel piccolo paese in provincia di Potenza.

Pianse per settimane, mesi forse: doveva tornare a casa! Finché da casa arrivò quella telefonata: “è meglio che stai lì, figlio mio, studia, fatti una vita, che qui, senza la barca ormai, non è più come prima”. Era la voce di sua madre, anche se non voleva crederci, non poteva essere.

“Nella mia cucina mi piace raccontare la mia storia, fatta di contaminazioni lontane e sorprese inaspettate”

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Avevamo una barca, andavamo a pescare con i miei fratelli, ero il più piccolo.

Said a San Chirico Raparo torna a scuola e prende la licenza media. Arriva il tempo delle scuole superiori e decide che da grande vuole fare lo chef. La famiglia di Valeria, la prima operatrice del Sicomoro che aveva conosciuto a San Chirico Raparo, accetta di prenderlo in affido, per permettergli di frequentare l’istituto alberghiero a Matera.

Dopo poco il Sicomoro decide di seguire il bistro Panecotto, nei Sassi di Matera e propone a Said di iniziare a seguire questo progetto. Intanto si diploma e diventa ufficialmente il primo chef di Panecotto. Contribuisce poi con lo chef Federico Valicenti a dar vita al menu dei colori che ora porta in giro per la Basilicata.

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Said è stato protagonista anche della mostra IO SONO di Luisa Menazzi Moretti.

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