Kingsley, la cartapesta è senza stress

Kingsley, la cartapesta è senza stress

Tratto da Il carro e il leone, di Andrea Semplici, 2019

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Si fugge dal proprio paese perché si è in pericolo. Perché le minacce alla tua famiglia sono la storia di ogni giorno. Ti hanno gettato addosso acido. Hai paura. Cosa è accaduto, Kingsley? ‘La politica…’. Non chiedo altro. Benin City è una città violenta. Crocevia del traffico di donne, mercato delle prostitute. Oltre l’80% delle donne nigeriane che vediamo nelle strade italiane proviene da lì. È un inferno la vita quotidiana in questa città. Meglio andarsene.

Kingsley ha 38 anni. Non è un ragazzino. Aveva poco meno di 35 anni quando, senza avvertire nessuno, nemmeno suo padre (‘mi avrebbe fermato’), se ne è andato dalla sua casa e dalla sua città. Con due figli piccoli. Ha preso un autobus, ha varcato il confine di tre stati (il Benin, il Togo, il Ghana), è andato verso occidente per salire a Nord. Addio all’oceano, adesso Kingsley e i suoi bambini devono attraversare le savane del Burkina Faso e del Niger. Poi sarà il Sahara.

“Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli”

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Kingsley era un traditional doctor a Benin City. Un medico tradizionale. Curava con le erbe. Aveva imparato da suo nonno. ‘Mi mandava a raccoglierle nei campi, mi spiegava, mi permetteva di assistere alle sue visite’. Riesco a immaginarlo: un bambino che vede le donne e gli uomini che cercano un aiuto alle loro malattie. Un mestiere importante nella città africana. Un ruolo sociale. ‘Ho imparato a suggerire cure per reumatismi, per gonorrea, per diabete. Ho aiutato donne a mettere al mondo i figli’. Noi bianchi e occidentali non possiamo capire. Il mestiere non è riuscito a convincerlo a rimanere. Troppo forti i pericoli che correva se rimaneva a casa. Solo dalla Libia ha telefonato al padre.

Ha un’aria da rapper, Kingsley. Cappellino da baseball, catenella in tasca per le chiavi, bracciali al polso, capelli con la gommina, una barba leggera e ben curata. Deve ascoltare molta musica: piccoli amplificatori sono agli angoli della casa a Spine Bianche, in cui è accolto con un progetto del Comune e della Cooperativa Il Sicomoro. Racconto a Kingsley la storia di questo quartiere di Matera, uno dei ‘quartiere dell’esodo’. Lui abita a un piano terra, sulla piazza. Via Petrasa, dice. No, è via Petrarca.

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Osservo le sue dita mentre incollano strisce di cartapesta. È rapido, attento, veloce. Instancabile. Sono strani i curriculum europei in cui cercano di rinchiudere la tua vita. È un curriculum di poche righe che Kingsley mostra con un orgoglio africano: in Italia ha fatto tre mestieri, il lavapiatti, il bracciante e, ora, l’apprendista cartapestaio. Ha imparato in mezza mattinata. ‘È come se la cartapesta non avesse segreti per lui’, mi dice Raffaele. Non esiste una traduzione inglese per cartapesta. Kingsley la chiama art work, lavoro artistico.

‘Noi non abbiamo la cartapesta – mi dice all’improvviso – Ma siamo bravi a modellare le maschere. Carving – e fa il gesto del martello e dello scalpello – noi lavoriamo il legno. Qui si preferisce la carta. È la stessa cosa’.

Cosa è accaduto a Kingsley alla Fabbrica del Carro? È il più puntuale al mattino, lavora a testa bassa, ha accelerato i tempi della creazione degli stampi. ‘Mi piace la cartapesta perché è senza stress’. Mi faccio ripetere le sue parole: ‘No stress in the cartapesta’. Si porta il dito indice alla tempia. E sorride. Mette allegria il viso squadrato di Kingsley.
‘È come se la cartapesta lo abbia cambiato. È un altro. Come se averla fra le mani gli abbia indicato una strada’, mi dice una ragazza che, da tempo, segue i percorsi di Kingsley.

Kingsley ha già preso parte alla Festa della Bruna. Cosa penserà un africano della nostra follia? ‘Mesi di lavoro e di fatica vengono distrutti in un minuto. I ragazzi vogliono portarsi un frammento del Sacro a casa. Lo vogliono appendere a un muro, metterlo sul tavolo. Vogliono il Sacro vicino a loro’. Posso confessare: Kingsley non ha usato la parola ‘sacro’, ha detto: ‘Dio’. E anche io, per un momento, credo di aver capito cosa vi è, oltre le parole, dietro a quanto avviene nella piazza di Matera nella notte del 2 di luglio. Kingsley, da africano, mi ha messo sulla strada dell’inspiegabile.

Le foto in questo articolo sono di Antonio Sansone, tratte – come l’articolo di Andrea Semplici – dal libro “il carro e il leone”. La cronaca, i volti, le storie della rinascita di una grande scultura mobile, il carro Trionfale in cartapesta costruito da una piccola comunità di artigiani che quest’anno si è arricchita della presenza di ragazzi stranieri rifugiati e artisti non locali.

Per acquistare un copia del libro contattaci. Il ricavato della vendita del libro sarà destinato al sostegno delle rette degli anziani in situazione di solitudine e povertà ospiti della Residenza Brancaccio.

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Il carro e il leone

Il carro e il leone

Dove nasce il Carro della Bruna: le storie e i volti del luogo più misterioso di Matera

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La storia del Carro della Festa della Bruna è quasi sempre una storia al contrario: parte dal suo finale, come se il carro trionfale fosse soltanto la sua distruzione.

“Il Carro e il leone” racconta invece la storia della costruzione del carro, le alchimie i segreti e le tradizioni di famiglia che si consumano in un luogo inaccessibile per mesi e – soprattutto – è la storia della coloratissima comunità che quest’anno ha dato vita e mani a questo simbolo potentissimo della città di Matera.

È la prima volta nella storia centenaria della festa che un libro prova ad aprire idealmente le porte della fabbrica in cui nasce la festa.

Centosessantotto giorni, dal 7 gennaio al 23 di giugno, raccontati in un diario. È la cronaca quotidiana della rinascita di una grande scultura mobile, il carro Trionfale in cartapesta costruito da una piccola comunità di artigiani che quest’anno si è arricchita della presenza di ragazzi stranieri rifugiati e artisti non locali.

“Voglio che con la Rendita del Capitale della Masseria si tenga in città una Festività di nostra signora sotto il titulo della Bruna nostra Avvocata, e Protettrice”

Mons. Brancaccio, vescovo di Matera

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Il libro nasce per volontà della cooperativa sociale il Sicomoro, legata a doppio filo quest’anno alla festa della Bruna. La cooperativa è infatti ente gestore del progetto di accoglienza per rifugiati del Comune di Matera, che ha permesso a Kingsley, Ismaila, Savane e altri di partecipare attivamente alla costruzione del carro. C’è però un altro legame tra il Sicomoro e il 2 luglio legato ad un nome che i materani sono abituati ad associare unicamente alla residenza per anziani gestita dalla cooperativa: è il nome di Mons. Brancaccio.

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Nel testamento del Brancaccio si legge infatti “Voglio che con la Rendita del Capitale della Masseria si tenga in città una Festività di nostra signora sotto il titulo della Bruna nostra Avvocata, e Protettrice, che si Celebra a due di luglio e sia solennizzata da musici et Istrumenti scelti da loro spendendo in ogn’anno cinquanta ducati. E così continuare sempre et in infinitum”. Il vescovo dei poveri, istitutore del monte frumentario da cui prese vita la casa di riposo, nel 700 fu il primo a dare alla festa della Bruna la forma e le regole con cui tutti noi ancora oggi la celebriamo. Un legame forte quello tra la festa e la Residenza Mons. Brancaccio che il Sicomoro intende onorare destinando il ricavato della vendita del libro al sostegno delle rette degli anziani in situazione di solitudine e povertà ospiti della Residenza Brancaccio.

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Tresor, artigiano della Silent Academy

Tresor, artigiano della Silent Academy

In Congo studiava architettura, a Matera lavorerà all'opera di Mimmo Paladino per Matera 2019

  • Tresor

Tresor è uno dei maestri migranti della Silent Academy, il progetto di Matera 2019 che il Sicomoro sta portando avanti con Fondazione Matera – Basilicata 2019. Sarà lui infatti a guidare i laboratori per la realizzazione della grande opera che l’artista Mimmo Paladino donerà alla Città.

Tresor e i suoi bambini sono stati ospiti del progetto SPRAR del Comune di Matera e poi beneficiario del progetto Fami Fra Noi, grazie al quale ha potuto fare un tirocinio presso un’impresa edile che l’ha poi assunto.

La storia di Tresor è una storia di rinascita e coraggio. Giovane studente di architettura è costretto a lasciare il Congo con sua moglie e i suoi tre figli. Dopo il carcere libico, che non ha risparmiato neanche i suoi figli, ha comprato la libertà della sua famiglia facendo il piastrellista. Fino a quando non è stato accompagnato alla costa alla volta dell’Europa.

Durante le operazioni di soccorso della Croce Rossa, il trambusto che si crea sulla nave fa scivolare in acqua il figlio più grande, sua moglie Judith si tuffa per provare a recuperarlo, ma non c’è niente da fare. Solo il corpo di Judith verrà recuperato dai soccorritori e poi tumulato nel cimitero di Matera.

La storia di Tresor è stata raccontata anche da Peppe Aquaro e Antonio Crispino per il Corriere della Sera.

“Ho due bambini. Avevo un terzo figlio, Tracy. E’ morto, è scomparso nell’acqua. Anche mia moglie è morta.”

Tresor, in IO SONO di Luisa Menazzi Moretti

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Dall’omelia di Mons. Caiazzo per il funerale di Judith

Dietro questa morte c’è il gesto eroico di una mamma che non ha esitato a lasciarsi ingoiare dalle onde del mare pur di tentare di salvare il suo piccolo figlio.
Insieme a lei ogni giorno, ormai nel disinteresse generale, decine e decine di uomini, donne e bambini, che diventano centinaia, migliaia continuano a riempire i nostri mari. Sono numeri? Sotto tanti aspetti sì. Anche Judith era diventata il N. 7 fino a quando non si è arrivati al riconoscimento. Ma la maggior parte di essi sono identificati come numeri. E questo potrebbe essere normale ai fini burocratici e legislativi. La cosa più triste è quando, anche per colpa di taluni organi di informazione a livello nazionale (TV commerciali come vengono definite) si martella quotidianamente facendo passare volti di persone come me, come te, come numeri pericolosi che vengono a rovinare le nostre terre.

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Tresor è stato anche tra i protagonisti della mostra fotografica “Io sono” curata da Luisa Menazzi Moretti, prodotta da Città della Pace per i Bambini Basilicata, Cooperativa Sociale il Sicomoro e Arci Basilicata. Il progetto è composto da venti ritratti fotografici di grandi dimensioni di rifugiati e richiedenti asilo, ai quali si affiancano altrettanti pannelli con i testi delle loro storie raccolti dall’artista durante la sua recente permanenza in Basilicata.
Ogni singola persona, dunque, con il suo vissuto tragico ed il diritto alla ricerca di un futuro migliore, è al centro del lavoro della fotografa: quello di Luisa Menazzi Moretti è un invito allo spettatore a riconoscere l’unicità di ogni singola esperienza, di ogni ritratto, di ogni distinta vicenda umana. Un tentativo di comprensione, la possibilità di intuire le vite degli altri, di ognuno di essi.

Il percorso di inserimento lavorativo con il progetto Fra Noi

FraNoi, storie di integrazione: Tresor

"È bello che io che sono nuovo qui a Matera, sto aggiustando le case vecchie"Anche Tresor racconta la sua storia e i suoi progetti qui a Matera, che stiamo provando ad accompagnare, prima con lo #SPRAR e ora con #FAMI #FraNoi insieme al Consorzio Farsi Prossimo. Buon futuro Tresor, a te e alla tua magnifica famiglia!👉👉 Scopri anche le altre storie su http://www.ilsicomoro.net/fami-fra-noi-i-volti-e-le-storie-lucane/

Pubblicato da Il Sicomoro su Domenica 7 ottobre 2018

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